lunedì 30 gennaio 2017

L'arte di essere fragili


di Alessandro d'Avenia


Quanti studenti, nell'anno della maturità, nell'affrontare in letteratura Giacomo Leopardi hanno esclamato: “Oggi che depressione! La storia di uno “sfigato”, gobbo, malaticcio, scarognato in amore. Peggio di così! Roba da farsi una flebo!”
Io invece ho sempre amato questo poeta sin dalle elementari e, mandando a memoria (tanto tempo fa lo si faceva) i versi de “Il sabato del villaggio”, “La quieta dopo la tempesta”, trovavo in essi un'armonia, una melodia, un ritmo, che ne rendevano facile l'apprendimento. Condividevo i sentimenti della donzelletta, la sua allegria e civetteria, ma anche la malinconia che assale tutti “nel dì di festa” al pensiero del lavoro del giorno successivo.
Ancora adesso un libretto delle opere del poeta mi fa compagnia in particolari momenti, per cui è stato conseguenziale l'acquisto di un libro incentrato sulla sua figura. Ne sono rimasta sorpresa in quanto sappiamo come il ruolo della poesia nella  vita odierna sia del tutto marginale per cui scrivere di un poeta , se non per motivi di studio, appare alquanto anacronistico, tanto più su Giacomo Leopardi, un contemplativo, nel secolo della velocità, della tecnologia, dei messaggi lampo, dell'azione prevalente sulla riflessione.
Il libro di Alessandro D'Avenia “L'arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita”, Mondadori Editore, non è un saggio sul poeta, anzi no, lo è, ma in una veste del tutto imprevedibile. L'autore attraverso la biografia minuziosa, puntuale, quasi quotidiana di Giacomo, cui si rivolge in forma epistolare, analizza i sentimenti, le paure, le incertezze, la voglia di stupire, di autodeterminarsi, di fuggire, di tornare, di perdersi dei nostri adolescenti.
Scrive l'autore “l'adolescente si lascia a poco a poco alle spalle il pensiero magico e onnipotente del bambino, la fantasia non lo difende più, la vita entra dentro di lui in modo nuovo e più pieno, ferendolo”. Quindi ha davanti a sé due strade: ritirarsi, ripiegandosi su sé stesso o affrontarla con fierezza. Egli si trova nella condizione del seme, deve spaccarsi per aprirsi alla vita. Il prezzo da pagare è il dolore, la morte apparente di sé per una vita più piena.
L'adolescente, però, per sbocciare e avviarsi alla maturità deve attraversare diversi stadi, superare ostacoli così come ha dovuto fare Giacomo Leopardi, il quale cercava risposte alle sue inquietudini dapprima nelle pagine dei libri dell'immensa biblioteca paterna, poi nella natura, infine, nel mondo esterno alla sua ristretta Recanati. Tutto per la spasmodica affermazione del suo essere, onde aspirare alla gloria delle lettere, che lo avrebbe ripagato dell'amore a lungo cercato nell'affetto dei genitori, di una donna, degli amici.
E' la visione dell'orizzonte, la voglia di “Infinito” che lo consuma, ma una siepe ne esclude lo sguardo. L'Infinito!  Chi non conosce questo sonetto! L'abbiamo letto, commentato tante volte! Ora però dimentichiamo quei commenti perchè, dopo la disamina che ne fa Alessandro D'Avenia, quei versi appaiono totalmente nuovi. La siepe: la soglia contro cui l'adolescente si scaglia per abbatterla e andare oltre. Se lui vuole raggiungere il suo “infinito”, occorre che scavalchi il limite, che lotti per autodeterminarsi, che naufraghi per riemergere. Se in tutto questo il cuore si “spaura” nel timore dell'incertezza di infinito, il pensiero si “finge” ossia immagina ciò che va oltre per cui appare persino dolce il naufragio.
Riescono oggi i ragazzi ad immaginare un infinito, a vedere un “oltre” la siepe della loro fragilità? Essi hanno tutto, il mondo a portata di un clic, ma la bulimia di informazione ha diminuito la capacità di approfondire la realtà che li circonda. Vivendo in un eterno presente hanno perduto la possibilità di proiettarsi nel futuro.
La vita di Leopardi, quindi, come la proiezione delle problematiche dei ragazzi di oggi, a cominciare dal difficile rapporto con i genitori. Infatti l'autore accomuna l'esperienza di fuga di un suo allievo alla ribellione e al tentativo di allontanarsi dalla casa paterna e dal soffocante paese del giovane Giacomo. E nella struggente lettera inviata al conte Monaldo si ritrovano le motivazioni che ogni figlio, a cui non basta più “fingersi” l'infinito, addurrebbe per giustificare il suo gesto.
Ci sono padri, afferma l'autore, che generano biologicamente e poi si dimenticano di generare anche spiritualmente i propri figli, lasciandoli privi di senso.

Un libro, quindi, di non facile lettura su cui soffermarsi a meditare ad ogni capitolo sul ruolo del genitore, dell'educatore, ricco di spunti provocatori, rivolto a chi ha la responsabilità di accompagnare i ragazzi a sperimentare, attraverso le fragilità quotidiane, il cammino verso la felicità.
C'è un enorme bisogno che gli adolescenti diventino consapevoli del fatto che nella vita non contano il successo effimero, il danaro, ma la pienezza di sé e che si rendano conto che “le persone che riparano il mondo sono quelle che amano ciò che fanno, indipendentemente dalla grandezza di ciò che fanno”.


Marta Pisani

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